La città, dopo mesi di assedio era pronta a capitolare, e i suoi ventimila abitanti attendevano la loro tragica sorte: le truppe federali e guerriglieri irregolari spararono razzi e colpi di mortaio per giorni interi. All’alba del ventesimo giorno, di aspri e cruenti combattimenti, l’esercito invasore aveva sbarrato ogni via d’accesso e di comunicazione ed era pronto a fare irruzione per le vie del centro. Mirna, si era data alla fuga già un paio di settimane prima: nascondendosi nel quartiere più periferico, nella casa natale della nonna materna. La famiglia di Mirna abitava in riva al fiume vicino all’antico ponte. La loro piccola casa era stata colpita dalle postazioni di batterie nemiche in uno dei primi attacchi, le fiamme l’avevano divorata in pochi minuti, a lei e alla madre Sofia, miracolosamente illese, non gli restò che cercar rifugio dalla nonna. Arrivati a casa di nonna Ivana, l’anziana donna le accolse in lacrime:
“State bene? Presto entrate… Scendete in cantina. Lì staremo al sicuro”, disse Ivana baciando in fronte la nipote.
“Mamma la nostra casa non c’è più, siamo vive per miracolo. I pochi soldati a difesa della città cercano di resistere, ma il nemico avanza e ha preso possesso del ponte…” Rispose Sofia singhiozzando, per poi stringersi in un forte abbraccio a tre con la madre e la figlia.
“Vladimir?”, chiese la nonna sistemando le poche cose della figlia in un angolo della cantina.
“L’ultima volta che l’ho sentito è stato due mesi fa. Era nella capitale, il suo reparto si stava preparando per andare al fronte”, rispose Sofia asciugandosi il volto dalle lacrime.
“Tuo marito se l’è sempre cavata… Troverà un modo per tornare da voi vedrai”, replicò Ivana indicando alla nipote dove prendere le lenzuola per la sua brandina.
Sotto la luce livida di una lampadina Mirna, svuotò lo zaino e ripose i suoi libri su di uno sgabello.
“Un mese fa, dei vicini prima di abbandonare la città, mi hanno portato del miele, dicendomi che era per la mia voce, perché io potessi tornare molto presto a cantare… Sai, cara, quanto adoro l’opera”, disse la nonna aprendo la dispensa.
“Miele? Quanto dovremo stare chiusi qua sotto? Forse delle settimane o dei mesi, se non moriremo per le bombe, sarà per fame”, replicò preoccupata scuotendo la testa Mirna.
“Abbiamo delle conserve, scatolame vario, tre sacchi di farina, frutta secca e vino… Vino, in abbondanza”, rise la nonna.
La vita nel nascondiglio proseguì per una settimana intera tra ansie e paure, Sofia usciva all’alba quando c'era sempre un'ora di calma, prima che riprendessero i combattimenti. All'inizio avevamo dei problemi con la legna, poi erano stati talmente tanti gli alberi abbattuti e tetti bruciati, che era sufficiente raccogliere. Per l'acqua, al contrario, era sempre più difficile, raggiungere il fiume era troppo rischioso e la neve ai bordi delle strade era diventata ghiaccio nero. In cantina le tre donne avevano una radio, Mirna metteva le batterie nel sale, sulla stufa, per prolungarne la durata: ma non captava altro che delle stazioni di propaganda nemica. Sofia aveva soprattutto paura dei tiri d'artiglieria, che diventavano sempre più precisi, mentre Mirna viveva nell’incubo del rombo degli aerei che volavano a bassa quota.
L’unico “svago” per la giovane era la lettura dei pochi volumi che era riuscita a portare con sé. Una volta terminati anche quelli non gli restava che sfogliare vecchi giornali e riviste. Tra le pagine patinate c’era una rubrica che l’affascinava: La cucina esotica.
“Mango e noci brasiliane… Chissà che sapore hanno?” Domandò Mirna alla nonna mostrandogli una foto.
“Cibi esotici come questi. Guarda questa serie di scatolette: sono noci di loto, vengono da Hong Kong”, rispose la nonna aprendo una scatola di latta che in realtà erano fagioli, per poi continuare:
“Mandarini cinesi… Profumati quasi come deliziose saponette, o germogli di bambù buoni per la zuppa di nidi di rondine o pinne di pescecane…”, concluse Ivana mettendo a bollire due patate.
“Bisogna usare dei contenitori gastronomici per l’occasione. Canestri, cestini, terrine, tegami di coccio o brocche, come il wok: la pentola semisferica ideale per saltare i cibi alla cinese lasciandoli leggeri e croccanti”, lesse ridendo Mirta osservando la vecchia pignatta che la nonna aveva messo sul fuoco a bollire.
“Sempre in Asia si trova la pentola mongola, si narra che i cavalieri di Gengis Khan usassero il proprio elmo metallico posto sulle braci ardenti per riscaldare zuppe e intingoli. Oggi per preparare la "fonduta mongola" e molte zuppe orientali si utilizza questa particolare pentola a forma circolare, dotata di un piedistallo a camino centrale che ospita la carbonella accesa. In India il wok si chiama karahi e ha il fondo piatto: i modelli più piccoli vengono usati per tostare le spezie. Qui il nostro viaggiatore troverà anche la tava: pentola per cuocere il pane, leggermente incurvata, in ghisa o metallo pesante”, intervenne Sofia, sottraendo la rivista dalle mani della figlia, leggendo divertita.
“Buonissimi anche i piatti del Maghreb dove predominano, come sulle nostre tavole, verdure e legumi, servite in lucenti ciotole decorate con le tipiche geometrie, come la “tajine”, in cui si cuociono gli omonimi, aromatici stufati di carne, verdure, uova: in pratica un piatto circolare di coccio, sormontato da un coperchio a forma di cono che mantiene il calore e i vapori di cottura. La tajine si colloca in centro tavola, e tutti mangiano… A conclusione del pranzo un fumante tè alla menta servito nei bicchieri di vetro colorato”, riassunse il tutto indicandone le foto Mirta.
“Nel numero della prossima settimana, di “La cucina esotica,” dall'India al Giappone, patria di sushi, sashimi”, concluse la nonna, mettendo in tavola due patate e una carota bollita.
Le tre donne passarono altri due lunghi mesi nascoste in cantina, sino a una calda mattina di marzo quando inaspettatamente una voce familiare chiamava i loro nomi al piano di sopra: era Vladimir.
Mirna, non resistette e incurante del pericolo aprì la porta dello scantinato e salì rapidamente le scale correndo verso la voce del padre.
L’uomo, appena vide la figlia, gettò il mitra a terra, e urlò il suo nome allargando le braccia.
“Mirna! Sei viva! Un miracolo. Stai bene? Hai fame? Come sei sciupata, fatti guardare”, Disse l’uomo stingendo a sé la figlia.
“Si papà sto bene… Ora che sei qui con me sto bene. In cantina ci sono la mamma e la nonna. La nonna non sta bene sono giorni che ha la febbre”, rispose in lacrime la ragazza.
Vladimir, aiutato dai suoi commilitoni, soccorse le due donne. L’uomo raccontò alla moglie che la loro città aveva resistito eroicamente sino all’arrivo dei rinforzi, e che una volta attraversato il fiume e viste le macerie della loro casa il suo primo pensiero era stato quello di correre dalla suocera.
“È stata dura... Adesso è tutto finito”, disse con un filo di voce Vladimir tenendo la mano alla moglie mentre un infermiere la visitava sommariamente.
“Ci siamo nascoste sempre più nell’ombra. Loro erano penetrati nel quartiere e avevano ripulito tutte le case. Li sentivamo sopra le nostre teste, se ci avessero scoperto…”, replicò la donna piangendo.
“Siete state bravissime, come avete fatto a sopravvivere?”, Domandò un commilitone di Vladimir.
“Come abbiamo fatto a sopravvivere? Come i topi nelle fogne. In cantina dopo un paio di settimane mancava tutto. Non vedevamo l'acqua da mesi. Le poche gocce raccolte le mettevamo in una tazzina e questo ci serviva per lavarci. Quando è cominciato a scarseggiare il cibo, abbiamo iniziato a nutrirci del mangime per le galline. L'unico contatto con il mondo esterno era ima radiolina, ma per risparmiare le pile sentivamo soltanto i notiziari”, rispose Sofia.
“Mangime delle galline?”, borbottò adirato Vladimir.
“Tranquillo papà, l’abbiamo cucinato in maniera molto esotica”, sorrise Mirna.