Questo racconto è stato scritto per partecipare a The Neverending Contest n° 116 S1-P4-I3 di @storychain sulla base delle indicazioni di @jadams2k18
Tema: Postino
Ambientazione: Spazio
Tempesta di fulmini
<<Pronti a sparare, Signore!>>
Mister White si tolse gli occhiali rotondi tartarugati per strofinarli con un lembo della camicia sgualcita che fuoriusciva dai pantaloni. Poteva guadagnare ancora pochi istanti soltanto, prima di dover prendere una decisione definitiva. “Dannazione! Ma queste cose non succedevano solamente sul suolo americano?!” Si domandava il Console. “Avevo scelto di stabilirmi su quest’isola semi selvaggia proprio per rimanere lontano da intrighi, complotti e situazioni delicate, e invece mi ritrovo a gestire una difficile operazione militare di triangolazione di una navicella spaziale aliena comparsa improvvisamente nel cielo di Sicilia!”. Le ultime ore erano state, per il Console White, un crescendo di complicazioni iniziate con il più banale tanto quanto il più fastidioso degli eventi: una brutta colazione. Il suo solito bar vicino l’aeroporto, infatti, aveva esposto il cartello “Chiuso per lutto”, costringendo Mr White a recarsi direttamente sul posto di lavoro, nella base militare statunitense di Sigonella. Oltrepassata la frontiera che segnava il confine fra suolo italiano e suolo americano, mostrando solo distrattamente il passaporto ai militari di guardia che lo conoscevano bene, si recò direttamente alla caffetteria della base che riproduceva al 100% lo stile e i sapori dei coffee bar americani per far sentire a casa i soldati lontani. Niente granita e brioche col tuppo, quindi, ma litri di caffè lungo, donuts o apple pie, oppure direttamente uova e pancetta, o pancake con lo sciroppo d’acero. Non che tutto questo non gli piacesse, è solo che si era abituato ai gusti e alla brava gente del suo solito bar, che non mancava mai di sedersi con lui, non invitata, per scambiare aneddoti e due chiacchiere, e quella mattina non si sentiva pronto a cambiare repentinamente le sue abitudini. Tuttavia una colazione differente sarebbe presto stato l’ultimo dei suoi pensieri: era appena giunto in ufficio quando la luce che di solito inondava la stanza improvvisamente venne oscurata da un cielo grigio di nuvoloni lividi e fulmini che iniziavano a scaricare la loro violenza fra le nubi giallo-violacee. Era la fine di giugno e né il meteo né il cielo del mattino facevano presagire che fosse in arrivo una tempesta. Mentre ancora attonito, poggiando la giacca sulla spalliera della sedia, guardava fuori dalla finestra, i tre telefoni sulla sua scrivania e il suo smartphone avevano iniziato a suonare contemporaneamente, segnando l’inizio della catastrofe che lo avrebbe portato, in meno di un paio d’ore, a quell’enorme responsabilità di dare il fatidico ordine.
Mentre Mr White dormiva ancora e la sua brutta giornata doveva ancora cominciare, però, c’era già qualcun altro che si trovava completamente nei pasticci. La giovane Zkyrxee, infatti, si trovava alle prese con un problema ben più grosso e doveva fare i conti con la sua inesperienza. Aveva combinato un bel guaio, di sicuro mentre programmava le coordinate doveva aver confuso un tasto per un altro, finendo in quel remoto e primitivo angolo di universo. D’altro canto lei era solo una povera postina che aveva sempre consegnato messaggi a livello interstellare: non aveva mai fatto viaggi intergalattici! E ora era finita chissà dove e aveva quasi terminato il carburante! Col pilota automatico e il risparmio energetico inseriti, cercò di contattare l’ufficio postale del proprio pianeta madre, Vjosto. <<Sono Zkyrxee, codice 86P60, mi trovo per errore in un sistema planetario primitivo e chiedo istruzioni per dirigere il transeum alla più vicina stazione di servizio. Chiedo intervento urgente per carenza di carburante.>>. Dall’ufficio postale di Vjosto risposero alla loro impiegata con una risata sonora e canzonatoria. <<Zkyrxee! Ancora tu! Ne hai combinata un’altra delle tue, vero?! Ma dove sei finita?! In una galassia dove ancora non hanno scoperto nemmeno la frattura dello spazio-tempo?! Ah ah ah!>>.
Di tutti i supervisori che potevano capitarle quel giorno, proprio suo fratello Trifje doveva trovare?! Che disdetta! L’avrebbe derisa a vita!
<<Meno spirito e più aiuto Trifje. Sono qui da qualche parte, mi vedi?>> gli chiese, tentando di non pensare troppo a quando sarebbe tornata a Vjosto nello scherno generale.
<<Certo che ti vedo. Vedo anche che sei a corto di carburante! Hai sbagliato rotta di un milione di strev! Ma come hai fatto?>>. <<Avanti, sciocco, aiutami! Mi prenderai in giro più tardi!>>. <<E secondo te che cosa sto facendo? Allora, ho già individuato la stazione di servizio più vicina, col carburante che ti resta però non ci arriverai. Devi caricare l’aklobin almeno di un paio di sloq lì sul posto. Ma non preoccuparti, è semplice, basta che segui le mie istruzioni. Pronta?>> chiese Trifje. <<Certo!>> gli rispose Zkyrxee, determinata.
<<Abbassati lentamente verso l’atmosfera del pianeta. A livello della stratosfera attiva l’aklobin e crea una tempesta elettrica. Caricati per un paio di sloq e poi riparti. Nel frattempo io avrò impostato le nuove coordinate da qui, così non combinerai altri pasticci.>>
<<Ma fratello, non rischierò di essere vista dagli autoctoni? Potrebbero spaventarsi e danneggiare la loro evoluzione! Hanno armi in grado di danneggiarmi, secondo te?>>
<<Stai tranquilla, loro non sono un problema. Ti individueranno quasi subito, certo, ma durante la tua breve permanenza non sapranno cosa fare. Se anche provassero a colpirti, le loro armi sono troppo rudimentali per poter danneggiare il transeum. Andrà tutto bene, vedrai.>>
Zkyrxee aveva eseguito le istruzioni del fratello alla lettera, si era abbassata molto lentamente fin quasi a toccare il suolo di quello strano pianeta blu, poi aveva attivato l’aklobin per condensare l’elettricità richiamando i fulmini a riempire gli sloq. Sapeva di essere stata notata dagli indigeni, ma non poteva farci niente. “Oh, che guaio!”, pensava. “Consegnerò tutte le spore in ritardo! Speriamo che non mi facciano un richiamo, almeno”. Mentre l’aklobin ricaricava gli sloq, Zkyrxee indugiò a osservare quello strano pianeta blu, pieno di quella strana sostanza viscida e probabilmente molto pericolosa da cui era ricoperto. Chissà come se ne servivano gli autoctoni: era la materia prima più abbondante del pianeta, probabilmente il corrispettivo del loro fihush e se ne nutrivano. Avrebbe dovuto studiare meglio le civiltà aliene primitive, a scuola, magari avrebbe capito di più anche di quella strana protuberanza che si innalzava dal terreno vicino la costa, dalla cui cima sgorgavano fiotti di fuoco e fumo. Forse era un vulcano, uno degli antichi metodi naturali con cui sui pianeti primitivi si formava o si distruggeva il suolo. Mentre elaborava incuriosita questi pensieri sulla popolazione locale, che di certo la osservava a sua volta, ancora più curiosa e forse terrorizzata, un allarme iniziò a suonare, indicandole il distacco di una delle casse di stoccaggio. “Ecco,” pensò, “adesso sì che sono morta! Mi rispediranno al servizio spore planetarie, fra i neoassunti! Che vergogna!”.
Intanto Mr White, il Console americano, aveva infine dato l’ordine di sparare il missile più potente in loro possesso nella base militare, poiché quella maledetta tempesta di fulmini non accennava a placarsi e stava bruciando gran parte delle apparecchiature di tutta la costa orientale della Sicilia. Era chiaramente un segnale di ostilità verso i terrestri, che erano sotto attacco. Avrebbe voluto attendere l’arrivo dei rinforzi dagli USA, che si erano immediatamente messi in viaggio per sventare la minaccia, ma non c’era più tempo, era il momento di agire: gli alieni avrebbero presto distrutto il loro pianeta, questo non era un film, era la realtà, e lui doveva agire per il bene dell’umanità intera. Si era quindi tolto gli occhiali, osservando i monitor ancora funzionanti della sala controllo, li aveva strofinati per bene con un lembo della camicia stropicciata e poi lo aveva detto: <<Fuoco!>>.
Zkyrxee si era quindi ritrovata a perdere una parte della sua posta. Come aveva detto suo fratello, le tecnologie autoctone non potevano fare nemmeno il solletico al transeum, ma quella cassa doveva essere attaccata male, o forse il risparmio energetico non la stava proteggendo. Fortunatamente gli sloq dell’aklobin erano ormai pieni a sufficienza per ripartire. <<Ci sei Trifje? Inizio la risalita, esco dall’atmosfera e avvio l’aklobin del transeum verso le coordinate che tu hai impostato. Mi hanno colpita e una cassa si è staccata. Inventerò qualcosa al mio ritorno…>>
<<Va bene, piccola frana,>> le rispose il fratello. <<Vedi di non combinare altri pasticci, però!>>
<<Va bene, va bene. Grazie per l’auto, Trifje.>>
Il transeum risalì lentamente l’atmosfera fino ad arrivare in orbita, quindi ripartì verso la stazione di servizio, poi verso i destinatari delle spore.
Sulla Terra, intanto, la cassa di stoccaggio era stata recuperata in mare, dove si era in parte corrosa a contatto con l’acqua. Era strutturata di uno strano materiale che venne analizzato in atmosfera protetta dagli scienziati più importanti del pianeta, che quando riuscirono ad aprirla la trovarono piena di sfere luminose. Man mano che le sfere venivano a contatto con l’aria, creavano un’esplosione di luce accecante e suoni, e proiettavano per pochi istanti immagini e parole in una lingua sconosciuta. Capirono che si trattava di messaggi, ma non capirono di che natura, sebbene non sembrassero, per lo più, minacciosi.
Mr White, suo malgrado, divenne un eroe internazionale. Grazie al suo pronto intervento, infatti, aveva sventato un attacco alieno, mettendo in fuga la pericolosa navicella spaziale che creando una tempesta di fulmini voleva conquistare la Terra.
Di buono c’era, però, che da quel momento al suo solito bar la granita per lui fu sempre gratis.
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