Questo racconto è stato scritto per partecipare a The Neverending Contest n° 101 S1-P1-I3 di @storychain sulla base delle indicazioni di @storychain
Tema: Robot
Ambientazione: Miniere di ghiaccio sulla luna
Sibeluna
Le giornate si susseguivano tutte uguali, nel ghiaccio e nel freddo, ma le notti erano anche peggio: finito il lavoro, Norbert attraversava all’inverso le stesse camere del mattino, fino a tornare nella sua cella, a diciotto miseri gradi, cenare e coricarsi. Nessuno svago, nessuna distrazione, nessuna attività, solo dormire o lavorare, a seconda che fosse notte o giorno. Non sapeva nemmeno se la notte e il giorno fossero ancora tali, se le ore venivano misurate come sulla Terra, se il tempo trascorresse nella stessa maniera che conosceva lui: nessun orologio, nessun calendario. Le miniere erano sotterranee per mantenere costanti le temperature del ghiaccio e Norbert non vedeva la volta celeste da così tanto tempo che iniziava a dubitare della sua esistenza. Luce e buio erano solo concetti artificiali gestiti dalle macchine, che scandivano il sonno e la veglia del prigioniero. Norbert sapeva che esistevano altri prigionieri come lui, ma non li aveva mai incontrati né conosceva la struttura dell’enorme labirinto di miniere lunari. Conosceva solo quel che vedeva, i robot non interagivano con lui e lui non parlava con nessuno. Una volta ogni sei mesi gli era concessa una chiamata olografica con i suoi familiari, ma ormai da due anni a quell’appuntamento non si presentava più nessuno, nemmeno suo fratello. Grazie a quelle chiamate che scandivano il tempo il quel luogo senza tempo, sapeva che erano trascorsi quattro anni e mezzo, e le attendeva per avere l’occasione di parlare con altri esseri umani. La solitudine era tale che i primi tempi per non impazzire cantava a squarciagola; tuttavia i mesi e la fatica ormai lo schiacciavano al punto che poteva trascorrere delle intere settimane senza aprire bocca per usare le corde vocali. Anche i sogni, nelle rare volte in cui ne faceva uno, erano incubi silenziosi nei quali veniva intrappolato dai ghiacci e viveva per sempre ibernato in un gelido limbo.
Questo incubo si ripeteva giorno dopo giorno dopo giorno, fin quando giunse il momento della sua ultima chiamata olografica. Attendeva in camera il collegamento con l’operatore terrestre che gli avrebbe comunicato, come sempre, che nessuno era in attesa di mettersi in contatto olografico con lui. Se fosse stato fortunato, quell’operatore si sarebbe mosso a compassione ed avrebbe scambiato qualche parola col detenuto, rendendolo felice per qualche minuto. In trepidante attesa, col cuore in gola, Norbert attendeva quel contatto, che tuttavia tardava a giungere. Al termine del tempo stabilito, infine, una voce registrata, inespressiva, fredda e metallica, sostituendo il solito operatore lo avvisò che essendo la quinta volta che nessuno effettuava la chiamata olografica semestrale cui aveva diritto, questa veniva revocata e sospesa, e chi avesse voluto in futuro mettersi in contatto con lui avrebbe dovuto richiedere il permesso al Ministero della difesa di Austrasia.
Norbert rimase talmente interdetto dalla notizia, che non si accorse del viraggio di luce dal giallo al rosa della sua stanza. I minuti passavano e il prigioniero venne risvegliato dallo shock dalle piccole scosse elettriche che gli colpivano le membra: solo allora si accorse della luce rossa nella camera, segno che doveva immediatamente lasciarla ed avviarsi al lavoro della giornata. Incurante delle scosse, che si sarebbero fermate solo dopo aver varcato la soglia della stanza successiva, si prese la testa fra le mani, e schiacciandosi le tempie con quanta forza aveva cacciò un urlo spaventoso e disperato che lacerò l’aria immobile e muta e gli squassò il petto. La luce rossa iniziava a virare verso il cupo e le scosse si facevano più prolungate e dolorose, per cui il corpo di Norbert, ormai svuotato di ogni connotazione umana e reso un guscio freddo e arido, si alzò meccanicamente, dirigendosi verso il bagno, poi verso la vestizione, il raffreddamento ed infine alle miniere. I suoi gesti erano lenti e automatici, il corpo muscoloso si muoveva da solo, mentre la mente era quasi del tutto annientata, praticamente inesistente.
Abbandonato, solo, disperato, vuoto, inaridito, isolato: sentiva ogni singola fibra del proprio essere gridare all’unisono “basta!” desiderando la fine di quell'eterna tortura. Le lacrime gli si seccavano sul viso coperto di tessuto, tintinnando a terra come piccole perline di ghiaccio, finché anche gli occhi coperti dalla visiera si disseccarono e non ebbe più nulla da piangere. Era trascorsa la prima metà della giornata e un robot insetto giunse alla miniera per caricare il blocco appena estratto. Fu un istante: Norbert venne penetrato con la coda dell’occhio dal bagliore delle lame a tenaglia del robot da carico, che si aprivano per afferrare il blocco. Folgorato dall’idea di quanto fossero appuntite ed affilate e devastato dal dolore di quella sconfinata ed infinita solitudine, balzò di scatto all’indietro ponendosi fra il ghiaccio da lui stesso estratto e l'appuntito perno robotico che doveva sollevarlo e si fece trafiggere al petto. Il dolore fisico fu il sollievo più grande mai provato negli ultimi anni, e cullato dal tepore del suo stesso sangue perse i sensi, avviandosi verso la tanto agognata morte.
Riaprì, suo malgrado, gli occhi, sperando di trovarsi nell’aldilà. Un paio di occhi viola e oro lo osservavano mentre una voce nella sua testa eppure appartenente senza dubbio alla creatura davanti a lui gli chiedeva: “Buongiorno esperimento alfa sette uno nove, come ti senti?”. “Dove sono?” chiese. “Nella Sibeluna, ovviamente, sei il nostro esperimento più longevo sulla resistenza umana alla mancanza di stimolazione da parte dei propri simili. Il tuo Governo ti ha ceduto ai Nibiriani per condurre degli studi sulla tua specie. Ma non preoccuparti di questo, ti verrà spiegato tutto a tempo debito. Cerbero! Iniziamo la fase 3 dell’esperimento, prego.” E con queste parole Norbert, che non aveva ancora assunto del tutto coscienza di sé, percependosi solo in una fluttuante impotenza, nudo e collegato a innumerevoli macchinari, venne assalito da un sonno improvviso e perse nuovamente conoscenza.