Alvaro ha 115 anni e i ricordi lontani sono i più vividi nelle persone anziane, ma Alvaro, “il postino spaziale”, dimostra di ricordare bene il passato. Alvaro aveva incominciato a fare l’ausiliario delle Poste Spaziali quando era poco più che un ragazzino, quando sulla stazione Atradius c’era poca gente, anzi, nessun abitante, solamente tecnici e operai specializzati. Le rotte spaziali all’epoca erano pressoché sgombere, e la corrispondenza da consegnare irrisoria per le poche astronavi del nostro servizio postale. Oggi invece, a fatica, si riesce a guidare nello spazio destreggiandosi tra il traffico stellare, e le microbuspace delle Poste sono ormai centinaia di migliaia e partono dalla Terra per raggiungere i nostri satelliti consegnando di tutto e quant’altro, dalla mattina alla sera per trecentosessantacinque giorni all’anno. Atradius, prima di diventare una base cosmica (punto di partenza per i viaggi intergalattici), era un penitenziario sospeso nello spazio. Agli inizi Alvaro saliva su Atradius due volte al mese. Al nostro postino non gli dava fastidio la presenza dei carcerati, anzi, quello era il posto dove consegnava più volentieri e dove andava sempre con piacere perché era vicino a casa: cinque ore tra andata e ritorno, una passeggiata stellare.
Alvaro mi domanda se conosco suo figlio, di fronte alla risposta negativa non si scompone e continua il suo racconto.
“Mio figlio è uno importante di Atradius, un ingegnere aerospaziale. Adesso quel posto è pieno di brava gente, ma all’epoca no. Atradius era un carcere dove la corrispondenza si consegnava ancora, per i detenuti che non potevano usare la rete, con le vecchie lettere scritte off-line su supporto informatico”.
Quello che mi confida mi lascia spiazzato:
“Non mi vergogno di dire che prendevo delle mance, poche, che mi davano i detenuti, per consegnare le loro missive fuori dal controllo di Poste Spaziali e dagli agenti carcerari”.
“E’ un reato”, commento allibito.
“Ero giovane e avevo un vantaggio… Conoscevo soprannomi e parentele di tutti e se mi consegnavano una lettera con un messaggio diciamo particolare, anche con un indirizzo un po‘ strano, mi sono sempre rifiutato di consegnarla e questo era un patto chiaro e tacito tra me e i detenuti”.
Non mi è sembrata una risposta veritiera, ma d’altronde se reato c’è stato ormai è in prescrizione (penso).
I terrestri ormai sono sparsi in tutto l’universo. In tanti vanno per lo spazio quasi tutti i giorni, molti rimangono assenti per anni da casa e i pacchi delle Poste Spaziali sono l’unico collegamento materiale con questa Terra.
Personaggi illustri, confessa, non si ricorda di averne conosciuti. Può darsi che Alvaro, in quarant’anni di servizio, abbia portato corrispondenza a questo o a quel personaggio famoso, ma lui la posta non la consegnava e basta, per lui era una missione da compiere con la massima professionalità.
“Severe procedure da seguire, quello del postino spaziale è un lavoro rischioso e bisogna fare molta attenzione. Su Giove si scendeva a piedi. Lasciavo il microbuspace fuori dall’atmosfera, e con la tuta spaziale scendevo sul pianeta. Quando portavo la posta, in quella zona ne arrivava veramente poca, mi ricordo che alla colonia era sempre un evento”.
Il microbuspace è ancora un legame forte con il suo passato: un modello ormai fuori uso è parcheggiato nel suo giardino. Fa un gran caldo, c’è un’afa opprimente, ma Alvaro il postino spiega che ci tiene a farmelo vedere:
“Ormai non è che un rudere e non lo metto in moto da troppo tempo. Non è più sicuro, lo uso solo per andare in campagna a trovare i miei nipoti che fanno l’olio e il vino buono. Salire in quota con questo mezzo è rischioso soprattutto con le intemperie e le piogge solari. Ma quando portavo la posta non si poteva, e allora il microbus usciva con qualsiasi tempo: e via fuori nell’atmosfera e poi teleguidato nello spazio…” Lo dice con gli occhi lucidi.
“La bicicletta volante?” Domando.
“Anche quella è stato un mezzo che ho usato, ma non per lunghi tratti. Veniva caricata a bordo del microbus. Le salite e le discese sulla Luna, uno spasso… Fare gara con i ragazzini che divertimento”, risponde sorridendo.
“Ricordi?” Incalzo.
“Ricordi? Una volta una signora di Venere, dove i collegamenti con la Terra erano precari e disturbati da mesi, mi aveva dato una cospicua mancia perché nella lettera che gli avevo portato c’era la notizia che la figlia aveva messo alla luce una bambina. Conservo con piacere il ricordo di un’altra signora di Saturno che ogni volta mi offriva il caffè: cercava di farlo all’italiana, ma in realtà era una vera schifezza”.
Rientriamo in casa e mi scappa un sorriso. Poi mi mostra delle vecchie foto di alieni di oltre galassia:
“Non ricordo i loro nomi sono tanti e sono passati anni. Allora conoscevo bene i destinatari delle missive.
Qualche ragazza aliena delle colonie mi piaceva pure, ma...i tempi erano diversi”.
Alvaro tira fuori un fazzoletto bianco dalla tasca, si asciuga il viso:
“Io ho una casa di tre stanze, sono fresche, se vuoi ti ospito. Io adesso aspetto il tardo pomeriggio e mi metto sulla sedia all’ombra nel mio porticato…. Mi godo un po‘ di venticello ascoltando musica, vivo alla giornata”, prosegue mostrandomi una foto di lui da militare:
“Quando scoppiò la Guerra dei mondi, senza che nessuno mi vedesse, mi misi a piangere, consapevole che avrei dovuto interrompere i miei rapporti con gli alieni. Sapevo che mi avrebbero richiamato, mi aspettavo di finire nella Marina Spaziale. Invece mi fecero aviere. Per l’intero conflitto sono rimasto sulla Terra. Per aria ci sono andati altri… Tanti orrori e giovani colleghi e amici persi. Alla fine della guerra, ripresi a volare per le Poste Spaziali, ma le colonie oltre il Sistema Solare erano perse e non ci tornai mai più”.
“Quindi, oggi giornate tranquille? Da pensionato” Domando cercando di chiudere l’intervista.
“Guardo un po‘ la televisione, ma mi addormento subito”. Ormai il sole è a picco. È ora di andare a mangiare. Ecco, spontaneo, l’invito a pranzo:
“Un po‘ d'insalata, un po‘ di frutta, roba semplice, quella che mi vende la tua brava mamma al mercato, perché fa caldo dice”.
Devo andare e di materiale per l’articolo del giornale della scuola ora ne ho in abbondanza. Alvaro non si dà per vinto e rincorre:
“Vuoi vedere il mio cavalluccio? La bicicletta spaziale”, chiede e non s’offende al rifiuto, capisce che non c’è più tempo e che devo tornare a casa quando mi arriva una videochiamata di mio padre, ma prima gli porgo i saluti di mia mamma (l’idea è stata la sua d'intervistare il vecchio postino).
Il giorno dopo, al mercato, mentre aiuto mio padre a sistemare la frutta e la verdura, Alvaro arriva all’improvviso e mi mostra il suo “cavallino”: una vecchia bici spaziale delle Poste.
“È bello vero?” E alla risposta positiva sorride contento.
Con questo racconto partecipo a :
16 S1-P4-I3 - Concorso
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L'argomento e la situazione sono @jadams2k18,vincitore della settimana precedente:
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