Le vigne, i frutteti, i boschi, che dal belvedere si potevano scorgere ai confini della città, erano un lontano ricordo. Piero si aggrappò al tronco del ciliegio e si diede un vigoroso slancio e continuò a salire. Quelle terre desolate e abbandonate gli stringevano il cuore, così come la carcassa di un tasso che scalciò via.
“Un tasso morto…Li credevo scomparsi, quegli animali”, esclamò osservando le due teste della carogna geneticamente modificata dalle esposizioni radioattive.
Piero si voltò per l’ultima volta, e sul fondo della valletta dietro alla pila di automezzi ribaltati, intravvide i grigi muri dei palazzi della città e la ciminiera della centrale chimica. Su quei scrostati muri, sui pali della luce, e sul tronco dei pochi alberi rimasti erano incollati dei manifesti di protesta e uno striscione, appeso tra le case, gli restò impresso nella mente: Assassini. Sembravano i residui di una festa patronale, invece era il popolo che gridava, insultava e malediceva la discarica radiogena. Il vento trasportava a folate la polvere color ocra delle grandi cave da dove per generazioni si era estratta terra per le fonderie, poi l’enorme buco era stato riempito di scorie industriali, sabbia, calce e da centoventimila metri cubi di rifiuti, non soltanto materiali inerti, ma anche, dichiaratamente, tossici e nocivi. Un albero, rigoglioso e verde, dopo decenni era spontaneamente cresciuto in cima alla collina. Il prelievo e le successive analisi di laboratorio effettuate dal drone lo davano non contaminato. Era quella la meta di Piero, salire in vetta e vedere con i suoi occhi il miracolo della natura che stava cercando la forza di rimodellarsi nel tempo.
La collina (un racconto by @kork75)
Quando Piero tornò sulla collina la trovò inaccessibile; tutta la parte più bassa era una discarica e probabilmente a giudicare dai detriti di lavorazioni edili si voleva dare anche l'assalto al lembo superiore. Lungo le pendici, miracolosamente salvate dal degrado, erano rimasti due ciliegi dai frutti radioattivi e altamente tossici. Salendo a fatica, tra le immondizie più disparate, Piero scosse la testa pensando alla rigogliosa natura di decenni prima, al suo deturpamento, al suo saccheggio e alla scomparsa progressiva della vegetazione e dei prati in fiore: la collina non era più quella di quando era bambino. Sotto quel cumulo di sacchetti puzzolenti, ammassi di elettrodomestici, barattoli di vernice e fusti di chissà quale dubbia provenienza c’era sepolto il suo campetto da gioco, l’area picnic dei momenti felici della sua infanzia e il sentiero lastricato di mattoni rossi che lo portava, dopo le interminabili corse a perdifiato inseguendo il suo cucciolo di labrador al culmine della collina da dove si poteva scorgere l’intera la città. Piero, il belvedere della cima in quel lontano 2048 lo poteva solo immaginare, infatti, i flebili raggi del sole che attraversavano la spessa nebbia post nucleare gli limitavano la visibilità tanto che dovette avanzare con il faretto del casco protettivo. Pur essendo accompagnato dal suo cane robot, simile a un cucciolo di labrador, che insistentemente abbaiava e scodinzolava a una decina di metri davanti a lui dandogli la forza di proseguire il duo cammino era in disagio: il malessere del cuore spezzato. Un brik di vino gli si infilò sotto gli anfibi, lo schiacciò e ne schizzò un liquido color rubino che gli macchiò il risvolto dei pantaloni. Il profumo del vino si mischiò all’odore acre e nauseabondo della terra umida della discarica; a ogni passo calpestava altri contenitori. Piero più cercava di salire lungo il pendio della discarica e più affondava sino alle caviglie nella melma maleodorante dalla quale emergevano fumi fluorescenti. Giunto nei pressi del ciliegio si aggrappò al tronco e riprese fiato. Alzò lo sguardo ai frutti e vide delle ciliege amaranto dalla buccia luccicante grandi come delle mele.