Era un sabato di una calda mattina di fine agosto e la città era una polveriera. La popolazione era percorsa da un profondo malcontento provocato dalla carenza di generi alimentari, in modo particolare di pane. Già da martedì lunghe code rumorose e con evidenti segni di protesta si formarono davanti ai forni.
“Il forno chiude, andate a casa, il pane è finito”, implorò sbracciandosi il giovane garzone.
“Incredibile, anche oggi manca il pane. Ora basta!”, sbraitò Rosa all’indirizzo del gendarme che faticava a coordinare la lunga riga di persone in raccolta.
“Rosa aspetta, non andare… Guarda abbiamo questi, li ha ritirati Adelmo al Municipio”, le disse Susanna mostrandogli due fogliettini.
“Oggi mangiamo carta?”
“Non è solo carta, sono due buoni per il ritiro del pane. Aspettiamo che il panificio chiude e ci presentiamo con questi. Vedrai che avrai la tua pagnotta, per oggi e domani”, la consolò l’amica.
Appena il nutrito gruppo di persone, persuaso dalla baionetta del militare e dalle parole del garzone, lasciò l’ingresso del forno le due amiche, rimaste in disparte, si fecero avanti.
“Ragazzo abbiamo questi”, disse Susanna mostrando i due buoni del pane.
“Fammi vedere… Aspettate qui fuori”, replicò il giovane entrando nel negozio per poi uscirne con il fornaio.
“Non so chi vi ha dato questi buoni, ma questi sono validi per il ritiro del pane da parte dei ricoveri, degli ospedali, delle caserme e delle mense… Non voglio indagare per quale di questi enti ritirate il pane. Il mio compito e d’accettare questa cartaccia e consegnarvi il quantitativo dovuto”, commentò il panettiere. “Papà, ma quanti di questi pagherò hanno stampato in Municipio?” Domandò il garzone al fornaio.
“Figliolo fai cinque chili alle signore”, vociò l’uomo rientrando indispettito nel negozio.
Le due donne, riempiti i loro cestini, si salutarono e a passo svelto si diressero alle loro abitazioni.
Marco aprì l’uscio alla madre e con grande gioia prese dalle sue mani il ricco paniere che la donna gli porse con un gran sorriso.
“Ma come hai fatto?”, Domandò incredulo Arturo nell’osservare la figlia che svuotava la cesta della spesa.
“Adelmo”, rispose Rosa.
“Adelmo l’amico di Sebastiano? Quello che lavora in Comune… Capisco. Sei stata lontana dal centro? Sai che non voglio che resti coinvolta nelle manifestazioni di protesta. C’è già tuo fratello che dà di matto con lo sciopero. Comunque, la situazione si sta normalizzando, leggi… Se lo dicono loro”, disse Arturo sarcastico porgendogli il giornale. La donna incominciò a leggere ad alta voce. Il quotidiano riportava le parole del primo cittadino al termine dell’ennesimo Consiglio comunale.
“In serata saranno distribuiti con carri e camion quintali di grano a tutti i forni della città e a partire da lunedì non si verificheranno più chiusure delle panetterie. È un’ottima notizia non trovi?”
“Solo parole. Manca la farina per confezionare il pane, abbonda invece quella per i biscotti”
“Non ti seguo”, ribatté il nipote.
“Chiunque passeggi per le vie delle città vede che in tutte le panetterie hanno messo la scritta "pasticceria”, se manca il pane non mancano i biscotti. Questa è una vera provocazione alla rivolta per uno stomaco vuoto che non ha un pezzo di pane da settimane. Il pane costa solo cinquantacinque centesimi al chilogrammo, i panettieri preferiscono fare i biscotti che costano otto lire al chilo. Ora non c’è peggior consigliere che la fame per una rivolta e la rivolta c’è stata. Purtroppo, ha travolto anche tuo zio”, spiego l’anziano.
“Cosa? Sebastiano? È nei guai?”Incalzò Rosa ansiosa di risposte.
Arturo raccontò che il giorno prima il figlio, lungo la strada per recarsi al lavoro, si era fermato davanti a un forno incuriosito dalla lunga coda di persone. L’uomo aveva chiesto spiegazioni ad alcuni suoi colleghi operai: il pane era razionato, la farina era finita, ma di biscotti in abbondanza.
“Pare che il fornaio, indispettito dalle rimostranze della gente, abbia esclamato: Tanto chiasso per del pane? Mangiatevi biscotti. Questa frase fu come la scintilla che diede fuoco alle polveri. La folla, al grido di allora mangeremo i biscotti, in un baleno saccheggiò il negozio”, concluse l’anziano.
L’uomo confidò poi le preoccupazioni del figlio, in quanto anche se il fronte era lontano dalla città, questa era praticamente militarizzata e il personale degli stabilimenti, dove lui lavorava, era sottoposto alla giurisdizione militare e gli uomini impegnati nella produzione bellica erano considerati a tutti gli effetti militari. Quei biscotti entrarono pure in officina e subito dopo era arrivata la polizia.
“Cosa è successo in fabbrica? La polizia?”, Domandò Susanna sempre più preoccupata e sbalordita.
“Niente tranquilla. Tuo fratello è passato di qua ieri notte, ma dormivate tutti e due e così mi ha lasciato dei biscotti: sono nella credenza”, rispose cercando di cambiare discorso Arturo.
“Non mi importa dei biscotti!”.
Rosa energicamente pretese delle delucidazioni e così Arturo gli raccontò:
“All’arrivo della polizia gli operai hanno abbandonato il posto di lavoro. Sono entrati in sciopero, sono usciti poi dall’ officina per manifestare fuori dai cancelli. Lo sciopero in guerra è considerato alla pari della diserzione, all’insubordinazione, all’ammutinamento: così arrivò anche un plotone di soldati armati che circondò la fabbrica. Dopo la pausa di mezzogiorno gli operai decisero di incolonnarsi, in corteo, per sfilare con cartelli improvvisati, inneggianti alla pace, per le strade del centro. Incrociato il gruppo di soldati cercarono di fraternizzare invitandoli a deporre le armi ad associarsi alla protesta contro la guerra. Ma i poliziotti improvvisamente hanno sparato sulla folla. Seguì un fuggifuggi, fortunatamente pare che sparassero in aria”
“Oddio, perché questa mattina non mi hai detto niente?”
“Perché Sebastiano sta bene e non volevamo farti preoccupare, hai già il marito al fronte e un vecchio e un bambino da accudire…”
“Siete diventai tutti pazzi!” Sbraitò la donna.
“Calmati e prendi questi biscotti… Sono gli ultimi rimasti e sono buoni”.