Artistico disordine

in blurtcontests •  3 years ago 

Quando Arturo aprì la porta gli tornarono alla mente le parole canzonatorie di sua nonna: “Artistico disordine”; un concetto approssimativo, non veritiero, il quale però lasciava intravedere la volontà di raggiungere un simulacro di spontaneità e di naturalezza. La camera di suo figlio era così… Come la sua alla stessa età: “Un artistico disordine”. Quel caos e quello spazio disordinato rappresentavano a pieno il riflesso del rumore della mente di Gianni: attiva, libera e creativa. Dischi, musicassette e cd disseminati ovunque, la sua collezione; Arturo riconobbe il primo album dei Doors, alcuni dischi di musica surf, soul, hardrock, Sergent Pepper’s, Frank Zappa e l’inconfondibile banana dei Velvet sul piatto del giradischi. La sedia non era allineata alla scrivania, sulla quale regnavano una miriade post-it colorati, biglietti di concerti, scontrini, ricette mediche e un assegno mai incassato (frutto di uno dei primi lavori come musicista); l’armadio era aperto, per via di quell’anta ballerina, e al suo interno si intravvedevano i vestiti di scena. Appesi al muro, il disco d’oro e tre quadri fuori posto (regali di famosi pittori), poster di calciatori, cantanti e fotomodelle da calendario che rompevano gli equilibri geometrici delle greche sulle pareti: la lotta contro la simmetria era persa da tempo.


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Immagine CC0 creative commons

Su due mensole, alcuni premi e riconoscimenti, volumi scolastici, fumetti, vecchie gazzette rosa e riviste di musica. Le stampe erano tutte ammassate, abbattute le une sopra le altre e i testi di geometria analitica (Volume I e II), con le loro copertine di assi cartesiani, gridavano il loro sfogo quasi patologico a trovarsi vicino a un Playboy. In un angolo della stanza una gigantesca pila di libri: la sua biblioteca non era una scaffalatura, ma una stalagmite di volumi impilati alla rinfusa; sarebbe bastato urtare un solo libro per restare travolti da una valanga di carta stampata. Arturo reputava suo figlio un simpatico casinista, ma osservando quei vestiti sul pavimento e quelle mutande appese alla maniglia della finestra si domandò se erano forse un sintomo della sua inquietudine crescente espresse in maniera così lampante nel suo ultimo album.
“La mia camera, il mio disordine, il mio mondo… ll rispetto della tua riservatezza è la nostra priorità”, borbotto Arturo spostando l’intimo e aprendo le ante per fare arieggiare il locale. Provò ad accendere un cellulare abbandonato sul comodino. Niente. Una vecchia foto gli strappò un sorriso: Gianni bambino in braccio a sua madre. Sul comò, tra fiori secchi e una tazza di caffè che sapeva d’alcol, altre vecchie fotografie di suo figlio.


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Immagine CC0 creative commons

Sul letto sfatto, c’erano montagne di vestiti, una sigaretta spezzata, fazzoletti, una lattina di coca e volantini di locali dove aveva suonato. L’insieme, lungi dal risultare attraente o piacevole a livello estetico, era la rappresentazione di un dramma personale. La camera era disordinata come l’arte di Gianni, perché il disordine, almeno come aveva dichiarato in una sua recente intervista, era il seme della sua creatività. In quella stanza aveva preso il via quell’uragano d'idee che, se inizialmente sembravano solo caos, lo condussero a scrivere i suoi ultimi successi. Almeno così si ricordò di aver letto Alvaro. I suoi testi Gianni li annotava ovunque: quaderni, foglietti sparsi o sul suo notebook. Le sue canzoni nascevano spesso dall'ispirazione, da una giornata o nottata in cui si sentiva particolarmente creativo.
“Papà l'ispirazione non la si comanda. L’ispirazione arriva al momento più adeguato ed è l'artista che deve essere bravo a saperla cogliere per trasformarla in canzone”, gli ripeteva sempre.
Finalmente l’aveva trovata. Arturo prese il telefono e chiamò il figlio: “Disgraziato…La tua chitarra era sotto il letto. Ecco perché non la trovavi”.


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